addio Gianburrasca

IMG_20110718_160319 Ieri Gabriele ha svolto il suo ultimo giorno di asilo, al nido Gianburrasca di Via Tommaso Prelà (Roma, per chi non sapesse dove vivo). Sono stati tre anni fruttuosi, in cui sicuramente il nido ha contribuito molto alla crescita del mio piccolo bimbo. Sappiamo tutti che purtroppo le amministrazioni locali ultimamente non versano in buone condizioni economiche, ma devo dire che la mia esperienza con questa struttura pubblica è stata sicuramente positiva: probabilmente l’entusiasmo e la professionalità delle educatrici riesce (ancora) a supplire le carenze finanziarie. L’unico difetto è stato purtroppo l’orario ridotto, dalle 8 alle 16.30, veramente poco amichevole per genitori lavoratori.
Ricordo i primi mesi, nell’autunno del 2008, in cui ci sobbarcavamo quei due quarti d’ora di passeggino, tra andata e ritorno. Poi, a primavera 2009, l’idea della bicicletta, che non abbiamo più abbandonato, tranne nei giorni di tempo più inclemente. Da settembre purtroppo la bici va in archivio, perché Gabriele andrà a scuola insieme al fratello, accompagnati dalla mamma. Oh, io ho già dato 🙂

1984

Ho finito ieri di leggere 1984. Non ne scriverò una recensione, perché ne sono state scritte molte e la mia non sarebbe sicuramente all’altezza. D’altronde mi vergogno anche un po’ ad averlo letto così tardi e ovviamente lo consiglio a chiunque non l’abbia ancora letto (inseme a Il mondo nuovo di Huxley, tanto per fare un confronto tra distopie).
Quello che però mi ha colpito di questa edizione, che ho letto in traduzione del 1950, è di come la nostra lingua sia cambiata nel giro di soli 60 anni, considerazione ancora più interessante in virtù del fatto che il romanzo stesso tratta argomenti linguistici, seppure di fantasia. I cambiamenti sono tanti: alcuni semplicemente ortografici, altri di modi di dire ormai caduti in disuso, molti di parole abbandonate. Quando ho capito che sarebbero stati troppi per ricordarli, ho deciso di appuntarli e riportarli.
Iniziamo dai cambiamenti ortografici: da per tutto, a mala pena, press’a poco, gran che, cartavetrata, allato.
Poi i modi di dire non più usati: compreso d’entusiasmo, a un dipresso, dare la stura, senza mende, vòlte in ridicolo, è stata una provvidenza, borsari neri.
E infine le parole: barbugliare, scansia, serqua, rimestio, trasalimento, sbertucciati, fatte (guano), zinale, cuccuma, cantonata (zona), cascame, proclive, frigidaire, seco, industre, impostura, puerizia, mondato, brago, croco, impiantito, proietto, affettare (fingere), melanconia, ramaiolo, servaggio, batista, sinecura, tratturo.
Infine c’è il curioso caso di una parola che si usa ancora, ma che mai si potrebbe trovare in un attuale contesto letterario “normale”: cesso.

Cars 2

Cars2 Ieri sono andato al cinema The Space a vedere Cars 2 con Leo e Gabriele (promemoria per me stesso: non andare a The Space prima dell’orario di inizio, serve solo a guardare 30′ di pubblicità). Per Gabriele era la prima volta al cinema e se l’è cavata abbastanza bene (ma avevo portato il passeggino, che poi mi è effettivamente servito).
Parliamo dunque del film: a me non è piaciuto, ma voglio dargli il beneficio del dubbio, cioè rivederlo in futuro più volte per vedere se sale. La storia è molto diversa da quella del primo film, partendo dall’ambientazione. Se in Cars si giocava tutto tra la differenza grande città/piccolo paese e sull’epica della route 66, ora è tutto giocato sull’Europa (e un po’ sul Giappone), ovviamente in ottica americana. Curioso il fatto che, mentre Francia e Inghilterra sono identificate più che altro dai monumenti delle rispettive capitali, l’Italia sia invece rappresentata da un immaginario posto che è un incrocio tra un paesino del sud e uno della riviera ligure (con tanto di casinò).
Anche i personaggi sono diversi: a parte Saetta e Cricchetto, che sono sempre i protagonisti (anche dei precedenti corti), tutti i comprimari sono sacrificati, probabilmente perché ormai già presentati e caratterizzati. Lo spazio guadagnato è tutto a favore delle spie inglesi, che anzi a tratti sembrano i veri protagonisti, e di cattivi non proprio azzeccati. Nemmeno l’antagonista di McQueen mi ha convinto.